La volontà decifrabile dello “sguardo” di Neri, come artista, sembra subito che risieda in una incapacità endemica di aderire profondamente e totalmente al reale. Nonostante lo sforzo continuo e sincero di concretezza, la sua ansia di penetrazione ed immedesimazione con la realtà, il suo bisogno autentico di vivere le forme e di comprendere le tracce di storia che coinvolge nelle sue costruzioni. Il taglio generale pare che sfugga sempre alla datità del mondo. Infatti, in uno scritto che accompagnava i lavori presentati nel 99 , Neri ricordava “la fragilità ci pervade in ogni momento... fragilità nella coscienza e la voglia di sottrarsi a queste sensazioni...”. Naturalmente a questo segno di “debolezza”, ) si collega quest’ultimo scritto del 998, una dichiarazione sulla cura della bellezza, suggerisce ai più scaltri osservatori del mondo e della sua natura che “è impossibile parlare di tutte” le immagini.
Un’incapacità che identificherebbe l’artista - rimasto in definitiva legato all’esperienza dell’informale, dell’espressionismo e altri linguaggi che si vivono sulla pelle più che attraverso la mente - col rifugio nel sogno, nella costruzione fantastica, per respirare insieme alle ansie di un mondo evocato ed immaginario, ove il reale stesso - concreto e gravitante nel suo contenuto, ora bruciante ora banale - si tramuta in “fabula”, lontana dalla vita, eppure cosparsa di elementi terreni, sanciti dalla costrizione del nostro “esserci” quotidiano, ma trasferiti in una sorta di mondo poco trasparente, lontano dalle certezze della logica, bagnato dal sudore e dal piacere del gioco e dell’infanzia.
Di qui, nel lavoro di Neri si ritrova un dualismo di fondo che rimarca in maniera inconfondibile il senso dell’immaginario e quello della realtà. Nello sguardo che raccoglie i dati che compongono l’opera, e nell’opera stessa nella sua fattualità, si nasconde un’antinomia irriducibile tra realtà e sogno, tale dualità, che poi in senso post-moderno non si riduce ad una debolezza, si dà forza praticando, in maniera meno ossuta, l’oscillazione tra storia e mito, dato concreto e mondo della memoria, realismo e magia dello sguardo (verso un passato da conservare), in sostanza tra la favola della natura (della vita biologica) e la vita dell’arte.
Ed è proprio su questi due punti che recentemente ho trovato piuttosto trasformato il lavoro di Neri, rispetto alla fase dell’inizio degli anni Novanta. Innanzitutto, mi sembra che nell’artista sia maturato un senso della “cura” che va interpretato quasi alla lettera. Ovvero, pur dialettizzando l’idea di cura della bellezza, che non va confusa con le pratiche delle beauty farm, Neri non esclude un rapporto con gli oggetti e i relitti del consumo. Diciamo che questo ciclo di opere, che si inaugura con il coinvolgimento delle formule chimiche, della messa a punto di una immagine dove gli ossidi di zolfo si incontrano con le icone delle farfalle, dei serpenti e degli uccelli, è protratto verso una maggiore complessità dell’immagine.
Forse c’è un’esigenza profondamente umana nell’interpretazione del reale, un’ansia scoperta e persistente di andare più a fondo, di comprendere il segreto dell’immagine rappresentata della natura e quella che si nasconde dietro ad un effetto lavorato ad encausto, in un dipinto murale che nella sua concretezza si fa parete, grigia, bianca o colorata che sia. Neri proviene da una temperatura della pittura assolutamente forte, che egli stesso ha trasformato in archeologia. Affreschi ed encausti su tamburato o su legno che riportano delle tracce simili ai ritrovamenti romani della sua terra. Memoria di arte lavorata sugli intonaci, sui pigmenti sciolti in acqua senza l’uso delle tempere. Ricordo di superfici costruite a partire dalla traccia di “arricciato”(2), testure attraversate dalle sinopie 3» del tempo, materie che oggi possono essere proposte solo nella loro infermità simbolica.
In pratica Andrea Neri non si affatica a mettere su tutto questo lavoro, a far comparire questa vasta messe di riferimenti tecnici, per fare sfoggio di conoscenza pittorica classica, anche se il suo lavoro ha una formazione che proviene proprio dalle tecniche grafiche e calcografiche.
Proprio negli ultimi tempi l’impasto formale e la risoluzione estetica del lavoro di Neri sottolinea un minore interessamento alle cose tecniche ed una maggiore attenzione per un discorso di tipo sociale e politico.
Nella strategia comunicativa che presuppone la filosofia della “cura della bellezza”, in maniera evidente, negli ultimi tempi, traspare ciò che definisco “una forma di lavaggio”. All’insegna della orientaleggiante “cura” predisposta dal famoso libro di Herman Hesse, e in maniera quasi contraddittoria a questa sorta di positivismo interiore suggerito dallo scrittore di Calw (Wurttemberg), Neri introduce il suo discorso usando una citazione da Lo straniero di Albert Camus’4 . Indirettamente, rifacendosi alla “problematica dell’assurdo”, cerca di dare attraverso Camus una giustificazione al senso dell’arte. Ma, così come accade per l’uomo di Camus, non la trova. In quel famoso libro, il protagonista Meursault diventa straniero a se stesso perché, dopo aver ucciso inesplicabilmente un uomo, si lascia condannare a morte senza tentare di giustificarsi.
È come se Neri, attraverso questa metafora dello Straniero di Camus, volesse dire che la cura della bellezza passa anche attraverso il confronto con il disfacimento, con il decadimento della natura. E vediamo perché! Neri con la tecnica dell’affresco e dell’encausto, ormai digerita, per mezzo di una materia utilizzata da molti anni, gioca prima con grandi impasti cromatici, realizzando grandi e piccole dimensioni, e poi aggiunge a questa corporatura delle illustrazioni recuperate nei negozi di antiquariato. Si tratta di specie di serpenti rari, farfalle, formule di ossidi di zolfo, evocazioni di processi naturali ed artificiali, denunce di irreversibili piogge acide 5». Neri non rimarca solo un contrasto tra il corpo della natura contaminata e la difficoltà nei curare la bellezza, ma ci vuole dire attraverso Camus che oggi, facendo arte, acquistiamo ancora più consapevolezza del rischio di perdere l’occasione, mai accertata in realtà, di rincorrere la bellezza. Le piogge acide, la denuncia delle formule chimiche sono una presa d’atto concettuale della perdita di un colore e di un odore.
Importa sottolineare come il difetto dominante che Neri scopre nella ricerca dell’arte è la fuga dalla realtà della bellezza e della vita. La pittura si è nascosta necessariamente dietro modelli astratti ed estranei al mondo biologico vivo, perché ha subito una perdita di trasparenza, non è più riconoscibile, è vaga e incerta e naviga in una profonda ignoranza se non è sostenuta da un supporto completamente fuori dalla sua tradizione. Ecco che intervengono le formule chimiche, ecco che interviene questa sorta di epicureismo lucreziano 6 che scoppia sulla superficie come uno stato gassoso e rappresenta, come dice Neri, “tra gioia, godimento e paura” l’aiuto “a farne giusto uso e controllarne il potenziale distruttivo”.
Allora ci facciamo aiutare da Meursault a dire: che scompaia questo mondo così ridotto a fogna a cielo aperto! Che muoia condannato da se stesso e dal destino che egli stesso si è dato, senza nessuna limitazione e senza nessuna forma di austerità! Che scompaia cascando gioiosamente, nel depauperamento più totale! È questa la nuova assurdità, ma è anche questa la nuova testardaggine per superare la cortina di fumo che dal nichilismo conduce ad una pace che può subentrare dopo il verdetto finale, faccia a faccia con la condanna definitiva della morte. In questo paesaggio raggiunto, apparentemente annichilito ma vivo, c’è il sentore di essere vicini ad una nuova escandescenza di libertà, vicini all’assurda libertà che si raggiunge solo toccando con mano la morte, solo sfiorandola e standole molto vicini. È qui che l’arte che ne scaturisce non si perde solo dietro alla favola, non dimentica del tutto la vita ma, rimanendo fedele alle sofferenze dell’uomo ed al reale che lo sovrasta e lo dirige male verso il suo futuro, riesce a darci dell’essenza dell’immagine quell’apparente stato etereo, sospeso nel vuoto dei colori sulfurei, delle pieghe ametiste e dei contorni neri o violacei.
Sul tamburato Neri schizza il catalogo delle perdite e delle potenziali conquiste. Le specie in estinzione sono irrimediabilmente andate e di esse possiamo conservarne solo l’immagine, la bella immagine curata da un illustratore di altra epoca capace di rinvenirne il particolare, il dettaglio dell’animale fino a farla rivivere nella nostra memoria. Qui registriamo anche qualche tragedia, scoprendo che un insetto, ormai scomparso e ridisegnato da Andrea Neri, era a capo di un processo olistico che sta subendo un gravissimo ed invisibile danno. Ecco il disastro, ecco la ferita inguaribile, ecco il taglio nel corpo che non si riuscirà mai più a sanare.
Il sentimento della memoria è qui vivissimo e il sostrato di salvaguardia, del senso misterioso delle cose, si mescola con l’urgenza di ciò che minaccia di sparire. È come se la natura non fosse più se stessa e i colori che si riflettono sul tamburato frugano un’assenza. L’illustrazione, usata senza alcuna forma di trasfigurazione, è un dato concreto pur se parla di qualcosa che è ormai distante da noi. La minaccia di morte si presenta come un boomerang dentro uno spazio apparentemente vitale. vale a dire che le più lontane, invisibili e trascurabili azioni di ciò che subisce la falce della sparizione, rimbalzano indietro a distanza di tempo con le loro conseguenze, e che nulla è senza effetto. Nel campo della natura il passato è, quindi, anche una riserva di energia spirituale, alla quale il pittore ricorre, quando tutto sembra finito, per tessere sulla trama di questo libro di terra lucreziano nuovi segni e nuovi tentativi. In tal guisa il gesto che qui si propone non è quello di convocare il passato per farne un’inchiesta di denuncia o una mera statistica di comprensioni, ma di usare la sua simbolicità come scarto e differenza concettuale rispetto al presente. Da questo momento in poi siamo pronti all’interrogazione, la dolente sostanza, la traccia continua delle mancanze, non è una confessione ma è un laboratorio che si trasforma in una storia irripetibile, una storia che ha bisogno di altre politiche del dialogo “tra ecologia e arte”, di “altre alleanze”(7).
Gabriele Perretta
(1) “debole” qui è usato direttamente nella famosa accezione assegnatagli dal pensiero filosofico italiano, “niente più sistemi globali, ragione centrale, presa d’atto di uno stato di fatto, di una struttura più vera, plurale della “realtà”, Gianni vattimo, Tecnica ed esistenza, Paravia, Torino, 998, pag. 83; si veda anche: G. vattimo, P.A. Rovatti, Pensiero debole, Feltrinelli, Milano, 983.
(2) L’arricciato è quella parte dell’affresco così denominata che si ottiene mediante la mescolanza della sabbia silicea o polvere di marmo e calce spenta ed altro...
(3) Sinopia, terra rossa proveniente da Sinope, usata per tracciare il disegno degli affreschi...
(4) Lo Straniero di Camus viene dopo // rovescio e il diritto (1937) e Nozze (1938). È del 1942 e quindi dello stesso anno in cui Albert Camus pubblica gli spunti della grande sofferenza che deve sopportare Sisifo trasportando l’enorme sasso. Ricordiamo che l’esistenzialismo di Camus è nichilistico e sviluppa un moralismo che prova disprezzo per qualsiasi forma di ideologia. Per Camus si tratta di consumare ogni filo di logica che ci può far pensare che il nostro agire e il nostro destino siano tenuti insieme da qualcosa di certo. Lo Straniero spara ad uno dei due arabi segugi di Raymond, viene condannato alla ghigliottina. Riceve la visita del cappellano, dopo averla rifiutata diverse volte. Mersault avendo poco tempo da vivere non vuole sprecarlo rifugiandosi in Dio, conferma così il suo ateismo, pur colmando questa ricerca dell’assurdo con una pace che sovviene appena rimane da solo davanti alla condizione di condannato ed al suo segnato destino.
(5) Esse sono rappresentate dall’artista mediante le formule chimiche che compaiono su dei rilievi della superficie dell’opera.
(6) Mi riferisco, ovviamente, al De rerum natura di Lucrezio ed al fatto che la sua figura era stata occultata proprio in quanto epicureo. La sua visione potremmo dire che è una delle poche che nella cultura occidentale spinge verso una concezione olistica della natura.
(7) Di recente ho curato una mostra proprio dal titolo Altre alleanze. Politiche del dialogo tra ecologia ed arte (Torino-lmperia, 1997), dedicata oltretutto alla figura di Lucrezio. Per ulteriori approfondimenti si possono consultare il catalogo di questa mostra e il mio libro Per un’ecosferosofla, ed.Where Communication, Perugia, 1994.